17 dicembre 2012

Ieri eravamo presenti alla recita dell'Angelus
del Sommo Pontefice
in Piazza San Pietro


Di ritorno dalla visita pastorale alla Parrocchia romana di San Patrizio a Colle Prenestino, alle ore 12 il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
In questa III domenica di Avvento, domenica "Gaudete", sono presenti - tra gli altri - i bambini del Centro Oratori Romani per la benedizione dei "Bambinelli", le statuine di Gesù Bambino che i ragazzi metteranno nei presepi delle famiglie, delle scuole e delle parrocchie.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!
Il Vangelo di questa Domenica di Avvento presenta nuovamente la figura di Giovanni Battista, e lo ritrae mentre parla alla gente che si reca da lui al fiume Giordano per farsi battezzare. Poiché Giovanni, con parole sferzanti, esorta tutti a prepararsi alla venuta del Messia, alcuni gli domandano: «Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10.12.14). Questi dialoghi sono molto interessanti e si rivelano di grande attualità.
La prima risposta è rivolta alla folla in generale. Il Battista dice: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» (v. 11). Qui possiamo vedere un criterio di giustizia, animato dalla carità. La giustizia chiede di superare lo squilibrio tra chi ha il superfluo e chi manca del necessario; la carità spinge ad essere attento all’altro e ad andare incontro al suo bisogno, invece di trovare giustificazioni per difendere i propri interessi. Giustizia e carità non si oppongono, ma sono entrambe necessarie e si completano a vicenda. «L’amore sarà sempre necessario, anche nella società più giusta», perché «sempre ci saranno situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo« (Enc. Deus caritas est, 28).
E poi vediamo la seconda risposta, che è diretta ad alcuni «pubblicani», cioè esattori delle tasse per conto dei Romani. Già per questo i pubblicani erano disprezzati, e anche perché spesso approfittavano della loro posizione per rubare. Ad essi il Battista non dice di cambiare mestiere, ma di non esigere nulla di più di quanto è stato fissato (cfr v. 13). Il profeta, a nome di Dio, non chiede gesti eccezionali, ma anzitutto il compimento onesto del proprio dovere. Il primo passo verso la vita eterna è sempre l’osservanza dei comandamenti; in questo caso il settimo: «Non rubare» (cfr Es 20,15).
La terza risposta riguarda i soldati, un’altra categoria dotata di un certo potere, e quindi tentata di abusarne. Ai soldati Giovanni dice: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe» (v. 14). Anche qui, la conversione comincia dall’onestà e dal rispetto degli altri: un’indicazione che vale per tutti, specialmente per chi ha maggiori responsabilità.
Considerando nell’insieme questi dialoghi, colpisce la grande concretezza delle parole di Giovanni: dal momento che Dio ci giudicherà secondo le nostre opere, è lì, nei comportamenti, che bisogna dimostrare di seguire la sua volontà. E proprio per questo le indicazioni del Battista sono sempre attuali: anche nel nostro mondo così complesso, le cose andrebbero molto meglio se ciascuno osservasse queste regole di condotta. Preghiamo allora il Signore, per intercessione di Maria Santissima, affinché ci aiuti a prepararci al Natale portando buoni frutti di conversione (cfr Lc 3,8).

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,
dal 28 dicembre al 2 gennaio prossimi, si terrà a Roma l’Incontro europeo dei giovani promosso dalla comunità di Taizé. Ringrazio le famiglie che, secondo la tradizione romana di accoglienza, si sono rese disponibili ad ospitare questi giovani. Poiché, grazie a Dio, le richieste sono superiori alle attese, rinnovo l’appello già rivolto nelle parrocchie, affinché altre famiglie, con grande semplicità, possano fare questa bella esperienza di amicizia cristiana.
Oggi rivolgo un saluto speciale ai bambini di Roma! Siete venuti per la tradizionale benedizione dei Bambinelli. Carissimi, mentre benedico le statuine di Gesù che metterete nei vostri presepi, benedico di cuore ciascuno di voi e le vostre famiglie, come pure gli educatori e il Centro Oratori Romani.
Saluto infine i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli di Palazzo Adriano, Porto San Giorgio, Grottammare, San Lorenzello, Atella, Bucchianico e Valmontone. Saluto il gruppo di studenti dell’Istituto De Merode di Roma con alcuni compagni australiani di Adelaide; come pure i rappresentanti dell’agenzia di informazione religiosa Zenit. Auguro a tutti una buona domenica e un buon cammino spirituale verso Betlemme! Buona domenica. Auguri!





1 dicembre 2012

02 DICEMBRE 2012 – XIV Domenica di S. Luca – S. Abacuc profeta



TROPARI

Ote katìlthes pros ton thànaton, i zoì athànatos, tòte ton àdhin enèkrosas ti astrapì tis Theòtitos; òte dhe ke tus tethneòtas ek ton katachtonìon anèstisas, pàse e dhinàmis ton epuranìon ekràvgazon: Zoodhòta Christè, o Theòs imòn, dhòxa si.
Quando discendesti nella morte, o vita immortale, allora mettesti a morte l’ade con la folgore della tua divinità; e quando risuscitasti i morti dalle regioni sotterranee, tutte le schiere delle regioni celesti gridavano: O Cristo datore di vita, Dio nostro, gloria a te.

En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.
Nel parto, hai conservato la verginità, con la tua dormizione non hai abbandonato il mondo, o Madre di Dio. Sei passata alla vita, tu che sei Madre della vita e che con la tua intercessione riscatti dalla morte le anime nostre.

I Parthènos sìmeron ton proeònion Lògon en spileò èrchete apotekìn aporrìtos; Chòreve i ikumèni, akutisthìsa dhòxason metà Anghèlon ke ton Pimènon vulithènda epofthìne Pedhìon nèon, ton proèonon Thèon.
Oggi la Vergine viene nella grotta per partorire ineffabilmente il Verbo che è prima dei secoli. Danza, terra tutta, che sei stata resa capace di udire questo; glorifica con gli angeli e i pastori il Dio che è prima dei secoli, che ha voluto mostrarsi come bimbo appena nato.

EPISTOLA

Mia forza e mio vanto è il Signore, egli è divenuto la mia salvezza.
Il Signore mi ha provato duramente, ma non mi ha consegnato alla morte.

Lettura dalla Lettera di S. Paolo Apostolo agli Efesini (6,10-17)

Fratelli, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati dal maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio.

Ti ascolti il Signore nel giorno della prova, ti protegga il nome del Dio di Giacobbe.

O Signore, salva il tuo re, ed ascoltaci nel giorno in cui t’invocheremo.

VANGELO (Lc. 18,35-43)

In quel tempo, mentre Gesù si avvicinava a Gèrico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli risposero: “Passa Gesù il Nazareno!”. Allora incominciò a gridare: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: “Che vuoi che io faccia per te?”. Egli rispose: “Signore, che io riabbia la vista”. E Gesù gli disse: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato”. Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio.

MEGALINARIO

Megàlinon, psichì mu, tin timiotèran ke endhoxotèran ton àno Stratevmàton. Mistìrion xènon orò ke paràdhoxon: uranòn to spìleon; thrònon cheruvikòn tin Parthènon; tin  fàtnin chorìon  en o aneklìthi o achòritos Christòs o Thèos; on animnùndes megalìnomen.
Magnifica, anima mia, colei che è più venerabile e gloriosa delle superne schiere. Vedo un mistero strano e portentoso: cielo, la grotta, trono di cherubini, la Vergine, e la greppia, spazio in cui è posto a giacere colui che nulla può contenere, il Cristo Dio, che noi celebriamo e magnifichiamo.
 
Al posto di “Ii to ònoma…” si canta:

Christòs ghennàte dhoxàsate; Christòs ex uranòn, apandìsate; Christòs epì ghis, ipsòthite. Àsate to Kirìo, pàsa i ghi, ke en effrosìni animnìsate, laì, oti dhedhòxaste.
Cristo nasce, rendete gloria; Cristo scende dai cieli, andategli incontro; Cristo è sulla terra, elevatevi. Cantate al Signore da tutta la terra, e con letizia celebratelo, o popoli, perché si è glorificato.

12a SETTIMANA DI SAN LUCA

3 – L – S. Sofonia profeta
2Tes. 2,20-26     Lc. 20,27-44

4 – M – S. Barbara megalomartire – S. Giovanni Damasceno
Gal. 3,23-4,5     Mc. 5,24-34

5 – M – S. Saba il santificato
Gal. 5,22-6,2     Mt. 11,27-30

6 – G – S. NICOLA IL TAUMATURGO, ARCIVESCOVO DI MIRA DI LICIA E PROTETTORE DI PALAZZO ADRIANO
Eb. 13,17-21     Lc. 6,17-23

7 – V – S. Ambrogio, vescovo di Milano
 2Tes. 2,13-3,5     Lc. 6,17-23

8 – S – S. Patapio
Ef. 1,16-23     Lc. 13,19-29

28 novembre 2012

Il "Credo" contro i falsi dei


È l'obiettivo prioritario dell'anno della fede voluto da Benedetto XVI. Riavvicinare gli uomini all'unico vero Dio. E deporre dai loro troni le false divinità che dominano il mondo



Una battaglia navale nel buio della tempesta. Questo era lo spettacolo che la Chiesa dava di sé dopo il primo concilio ecumenico della storia, quello di Nicea nel secolo IV.
Benedetto XVI ama ricordarlo ai profeti di sventura di oggi. Quella battaglia di tutti contro tutti – dice – alla fine produsse il "Credo", lo stesso "Credo" che si proclama oggi in tutte le messe domenicali. Non fu un disastro, ma una vittoria della fede.
La differenza tra allora e oggi è proprio qui. La crisi profonda della Chiesa odierna è una crisi di fede. Papa Joseph Ratzinger ne è così convinto che lo scorso 11 ottobre ha voluto inaugurare uno speciale anno della fede, e ogni mercoledì, giorno delle sue udienze pubbliche settimanali, s'è messo a spiegare il "Credo" articolo per articolo.
Da teologo, il papa si fa catechista. Il suo sogno è che tanti maestri di strada, in tutto il mondo, prendano esempio da lui e tornino a insegnare agli uomini "le verità centrali della fede su Dio, sull’uomo, sulla Chiesa, su tutta la realtà sociale e cosmica", insomma, l'abc della fede cristiana.
Andando ancor più alla sostanza, Benedetto XVI ha indicato più volte la "priorità" del suo pontificato nel ricondurre gli uomini a Dio, e "non a un dio qualsiasi", ma a quel Dio che ha rivelato il suo volto in Gesù crocifisso e risorto.
Perché il declino del "Credo in unum Deum" nei paesi di antica cristianità è coinciso proprio con un'ascesa nel firmamento di altri dei. Anche questa è una vicenda ricorrente nella storia. Anche nella Chiesa dei primi secoli, quelli delle persecuzioni e dei martiri, il dramma più acuto era dato dai "lapsi", da chi cadeva nella tentazione di bruciare incenso al "divus imperator" per aver salva la vita. Erano in numero ingente e i puristi, settari, li volevano espellere come apostati. La Chiesa li tenne tra i suoi figli ed elaborò nuove forme di confessione, penitenza, perdono. Quel sacramento che oggi, di nuovo, è il più in pericolo e insieme è così necessario.
I nuovi dei, Benedetto XVI li chiama per nome. L'ha fatto, ad esempio, nella memorabile "lectio divina" che tenne ai più di duecento vescovi del penultimo sinodo.
I nuovi dei sono i "capitali anonimi che schiavizzano l'uomo".
Sono la violenza terroristica "apparentemente fatta in nome di Dio" ma in realtà "in nome di false divinità che devono essere smascherate".
Sono la droga che "come una bestia vorace stende le sue mani su tutta la terra e distrugge".
Sono "il modo di vivere propagandato dall'opinione pubblica: oggi si fa così, il matrimonio non conta più, la castità non è più una virtù, e così via".
A giudizio di Benedetto XVI – un giudizio che ha ribadito anche di recente, nella prefazione ai due volumi della sua "opera omnia" con gli scritti conciliari – stanno proprio qui la forza e la debolezza del Vaticano II, nel cui cinquantesimo anniversario egli ha indetto l'anno della fede.
Il concilio ha voluto ravvivare l'annuncio della fede cristiana al mondo d'oggi, in forme "aggiornate". E in parte vi è riuscito. Ma non ha saputo andare alla sostanza di "ciò che è essenziale e costitutivo dell'età moderna".
È vero, ad esempio, che per la Chiesa c'è voluta la frustata dell'Illuminismo, per farle riscoprire quella che era l'idea della cristianità antica in materia di libertà di religione. Su questo papa Ratzinger concorda con il cardinale Carlo Maria Martini: qui la Chiesa era davvero "indietro di duecento anni".
Ma il papa concorda ancor più con il cardinale Camillo Ruini, quando questi obietta che comunque "una distanza ci deve essere della Chiesa rispetto a qualsiasi tempo, compreso il nostro ma anche quello in cui visse Gesù", una distanza "che ci chiama a convertire non solo le persone, ma anche la cultura e la storia".
I Cortili dei Gentili organizzati dal cardinale Gianfranco Ravasi questa distanza la mettono in mostra, dando voce e cattedra alla cultura del tempo, lontana da Dio.
Ma a papa Ratzinger sta più a cuore che i falsi dei vengano detronizzati, affinché gli uomini ritrovino l'unico vero Dio.

Dall'Osservatore Romano: di Sandro Magister

Diario Vaticano / In curia, tutti vestiti come si deve


Una circolare interna vieta al clero l'uso degli abiti borghesi e impone il ritorno alla talare. Anche per i vescovi in visita a Roma. Ecco il testo integrale della lettera, firmata da Bertone su incarico del papa





CITTÀ DEL VATICANO, 19 novembre 2012 – Veste talare obbligatoria per cardinali e vescovi negli orari d’ufficio. Talare o clergyman per sacerdoti e monsignori. Abito specifico per i religiosi, sempre e in qualsiasi stagione. E nelle cerimonie alla presenza del papa o negli incontri ufficiali in curia romana: “abito piano”, cioè talare, per i sacerdoti, talare filettata per i monsignori e talare con mantellina filettata (chiamata “pellegrina”) per i vescovi e i cardinali.
È questo l'ordine di servizio ribadito di recente in Vaticano sulla scia delle disposizioni impartite da Giovanni Paolo II in una lettera dell’8 settembre 1982 all’allora cardinale vicario di Roma Ugo Poletti:
"La cura dell'amata diocesi di Roma..."
In quella lettera papa Karol Wojtyla si rivolgeva al suo vicario, "che più da vicino condivide le mie cure e sollecitudini nel governo della diocesi, [...] perché, d’intesa con le sacre congregazioni per il clero, per i religiosi e gli istituti secolari e per l’educazione cattolica, voglia studiare opportune iniziative destinate a favorire l’uso dell’abito ecclesiastico e religioso, emanando a tale riguardo le necessarie disposizioni e curandone l’applicazione".
La nuova circolare, che porta la data del 15 ottobre 2012 ed è stata diramata durante l’ultimo sinodo dei vescovi, è firmata dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, che l’ha scritta, si legge, "per venerato incarico", cioè su indicazione di Benedetto XVI.
Essa suona come richiamo al "dovere di esemplarità che incombe soprattutto su quanti prestano servizio al successore di Pietro".
Ma non solo. La lettera vuole essere un "esplicito incoraggiamento" per tutti coloro – "anche per gli episcopati", si sottolinea – che vengono in visita a Roma.
Nel testo non si fa esplicito riferimento alle religiose che lavorano in Vaticano, ma per analogia con i religiosi la regola dovrebbe valere anche per loro.
L’indicazione quindi è molto chiara. Chi ha modo di frequentare gli uffici vaticani potrà vedere in che misura verrà rispettata.
Ecco qui di seguito la trascrizione integrale della lettera, scritta su carta intestata della sezione per gli affari generali della segreteria di Stato, con protocollo N. 193.930/P, e indirizzata ai capi dei dicasteri, tribunali e uffici della Santa Sede e del vicariato di Roma.



13 agosto 2012


15 AGOSTO 2012

DORMIZIONE DELLA NOSTRA SANTISSIMA SOVRANA LA MADRE DI DIO E SEMPRE VERGINE MARIA





 “Con quali parole spiegherò il tuo mistero?”, si chiese S. Teodoro Studita parlando della Dormizione della Madre di Dio, “La mia mente è in difficoltà (…): è un mistero insolito e sublime, che trascende tutte le nostre idee. Non trovo nient’altro di simile, cui possa paragonarsi, onde offrirne subito un saggio dalle cose che capitano, ma solo dalle cose che sono sopra di noi. (…) Fu precisamente nel tuo ineffabile parto che mutasti l’ordine della natura: quando mai, infatti, si è udito che una vergine abbia concepito senza seme? Colei che diviene madre partorendo rimane vergine incorrotta, perché Dio era quello che veniva generato. Così nella tua dormizione vitale, differenziandoti da tutti gli altri, tu sola a buon diritto rivesti la gloria della persona completa di anima e di corpo”.
Queste parole possono essere considerate un piccolo saggio dell’importanza e della portata teologica che questa festa riveste nelle Chiese di tradizione bizantina.
La festa dell’Assunta sembra, infatti, essere di origine orientale; resta, tuttavia, incerta e discussa tra gli studiosi sia la località in cui si è sviluppata sia il tempo. Sono state, quindi, formulate delle ipotesi. La più accreditata si fonda sulla notizia riportata da un Lezionario georgiano del sec. VIII, - che, tuttavia, sembra rispecchiare usanze liturgiche di Gerusalemme risalenti ad almeno un secolo prima -, che il 15 agosto si celebrava una festa mariana nella chiesa fatta costruire dall’imperatrice Eudocia nel Getsemani, poiché in questa chiesa veniva indicato il sepolcro della Vergine.
La letteratura apocrifa sul trapasso della Madre di Dio certamente avrà contribuito alla diffusione e all’affermazione di questa festa gerosolimitana. Comunque si ha notizia che fu l’imperatore Maurizio (582-602) ad ordinare la celebrazione di questa ricorrenza in tutto l’impero.
A partire da quest’epoca, infatti, troviamo che i maggiori teologi, poeti, oratori sacri celebrarono le meraviglie di questa memoria tanto da farci intendere che la Dormizione della Madre di Dio era ben presto divenuta la festa mariana più importante della Grande Chiesa bizantina.
Fin dal tempo di S. Teodoro Studita (759-826) fu fatta precedere da un digiuno di 15 giorni, caratteristica tipica delle grandi solennità. Durante questa breve quaresima, non si sa bene da quando, ogni sera viene cantata un’Ufficiatura detta “Paraklisis”, tra le più diffuse e popolari. Il termine “Paraklisis” significa tanto intercessione che consolazione: con questa supplica, infatti, si impetra l’intercessione della Vergine presso il Signore per la guarigione delle anime e dei corpi da ogni genere di mali e si ha la consolazione di essere esauditi per i meriti della Madre celeste.
“Ti sei addormentata, sì”, esclama nello stesso panegirico lo Studita, “ma non per morire; assunta, ma non lasci di proteggere il genere umano”.
Importante è stato, infine, un decreto dell’imperatore Andronico II (1282-1328) con cui l’intero mese di agosto è stato consacrato al mistero della Dormizione e Assunzione della beata Vergine.
Fino a questo momento la terminologia per designare la festa è stata varia, ma è opportuno porre in debito risalto che il termine proprio bizantino per designare la celebrazione è “Koìmesis” (Dormizione). Le motivazioni di questa preferenza ci vengono date da San Giovanni Damasceno: “Come chiameremo questo mistero che ti riguarda?”, dice rivolgendosi direttamente alla Vergine nella prima omelia dedicata a tale solennità, “La chiameremo morte? Sebbene la tua sacratissima e beata anima, secondo le leggi della natura, si stacchi dal perfetto e puro tuo corpo, e il corpo sia affidato secondo la legge comune alla tomba, ciononostante non soggiorna nella morte né è dissolto dalla corruzione. A Colei la cui verginità rimase illibata nel parto, fu custodito incorruttibile il corpo anche nel suo trapasso e fu trasferito in una dimora migliore e più divina non soggetta ai colpi della morte, ma che si perpetua per gli infiniti secoli dei secoli.
Come questo nostro sole che tutto illumina e sempre splende, nascosto per un breve momento dal corpo della luna, sembra sparire, avvolgersi nella caligine e mutare lo splendore in tenebra e tuttavia esso non viene privato della sua propria luce, perché ha in se stesso una fonte eterna rigurgitante di luce, o meglio, lui stesso è fonte di luce inestinguibile, secondo quanto ha stabilito Dio che l’ha creato, così anche tu: fonte perenne della vera Luce, scrigno inesauribile di Colui che ha la vita inesauribile di luce infinita, di vita immortale e di vera felicità, fiumi di grazia, sorgenti di medicamenti, una benedizione perpetua.
Tu sei fiorita come il pomo in mezzo agli alberi del pomario e il tuo frutto è dolce al palato dei fedeli. Pertanto, io non chiamerei morte la tua santa dipartita, ma dormizione o passaggio: meglio, un’entrata nella dimora di Dio”.
Non si tratta, quindi, di un termine tendente a porre in risalto un aspetto anziché un altro della festa, ma di concetto comprensivo tanto della morte che dell’Assunzione.
Compendio di questa rappresentazione sembra essere una breve composizione poetica (exapostilarion, canto di congedo) cantata alla fine della “Paraklisis”, mentre i fedeli si recano a baciare l’icone.
“Apostoli, convenuti da ogni parte della terra nel luogo del Getsemani, prendetevi cura del mio corpo. E tu, mio figlio e mio Dio, prendi il mio spirito”.

PRIMA ANTIFONA

Alalàxate to Kirìo pàsa i ghi, psàlate dhi to onòmati aftù, dhòte dhòxan enèsi aftù.

SECONDA ANTIFONA

Agapà Kìrios tas pìlas Siòn, ipèr pànda ta skinòmata Iakòv.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psàllondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Etìmi i kardhìa mu, o Theòs, etìmi i kardìa mu; àsome ke psalò en ti dhòxi mu.

En ti Ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti Kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs, ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

TROPARI

Della festa:  En ti Ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti Kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs, ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn

Kontàkion: Tin en presvìes akìmiton Theotòkon, ke prostasìes ametàtheton elpìdha, tàfos ke nèkrosis uk ekràtisen: os gar zoìs Mitèra pros tin zoìn metèstisen o mìtran ikìsas aipàrthenon.

EPISTOLA (Fil. 2,5-11)

Fratelli, abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.

VANGELO (Lc. 10,38-42.11,27-28)

In quel tempo, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”. Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!”. Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”.

MEGALINARIO

E gheneè pàse makarizomèn se tin mònin Theotòkon. Nenìkinde tis fìseos i òri en si, Parthène àchrande: parthenèvi gar tòkos ke zoìn promnistèvete thànatos. I metà tòkon Parthènos, ke metà thànaton zòsa, sòzis aì, Theotòke, tin klironomìan su.

KINONIKON

Potìrion sotirìu lìpsome, ke to ònoma Kirìu epikalèsome. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fos…” e di “Ii to ònoma…” si canta:

Apòstoli ek peràton, sinathristhèndes enthàdhe, Ghetsìmanì to chorìo, kidhevsatè mu to sòma; ke si Iiè ke Theè mu, paralavè mu to pnèvma.

OPISTHAMVONOS

Christè o Theòs imòn, o dhià thanàtu tin afthoròn su Mitèra ek zoìs pros zoìn tin akìraton metastìsas, ke tafìsan aftìn tis en tàfo dhiafthoràs ipèr lògon ipsilotèran ergasàmenos, ke pros kidhìan aftìs tus sus Apostòlus pandachòthen sinagagòn, aftòs, tes presvìes aftìs, pàndas imàs tus tin aftìs eortàzondas metàstasin lìtrose pàsis nekràs ennìas ke pràxeos, ke pàsis psichikìs dhiafthoràs elefthèroson, tu tis apognòseos thanàtu dhiàsoson, ke tu tis apistìas ke kakopistìas mnìmatos dhiafìlaxon; ke tis pistìs vasilèfsi pàsan epivulìn ke tirannìda katakìmison, ke pàsan varvàron thrasìtita nèkroson, ke pàndon ton epanistamènon to so kirìgmati ta friàgmata tapìnoson; ke pàndas tis eonìu zoìs kataxìoson, òti pàndas anthròpus thèlis sothìne, ke prèpi si dhòxa, sin to anàrcho su Patrì, ke to panaghìo ke agathò ke to zoopiò su Pnèvmati, nin ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

APOLISIS

O Anastàs ek nekròn Christòs o alithinòs Theòs imòn, tes presvìes tis panachràndu ke panamòmu aftù Mitròs is tin Kìmisin ke tin is uranùs metàstasin eortàzomen..................

26 luglio 2012



Questa notte alle 2,30 la Nostra Comunità Parrocchiale parte per il pellegrinaggio a Lourdes, assicuriamo a tutta la Comunità di Palazzo Adriano, amici e conoscenti, preghiere.

                                                                                                    Papàs Sepa



Ricordo che la celebrazione domenica 29 Luglio sarà alle 18,30



Il 26 Luglio la Chiesa Italo-Biazantina-Albanese fa memoria del Megalomartire Panteleimon

San Panteleimon nacque a Nicomedia da padre pagano (di nome Eustorgus) e madre cristiana (di nome Eubola). Venne educato alla fede cristiana e poi battezzato da sant'Ermolao (commemorato il 26 luglio) ed avendo appreso la professione medica, la esercitò con molta carità, guarendo da ogni malattia più per grazia divina che per la sua professionalità.
La sua compassione verso gli ammalati, i sofferenti, gli sfortunati e i bisognosi, fece si che fosse chiamato Panteleimon ("tutto misericordioso") invece di Pantaleo ("in tutte le cose un leone") che era il suo nome. Ha trattato tutti coloro che si rivolgevano a lui senza distinzione di fede e senza chiedere spese, guarendoli nel nome del Signore Gesù Cristo. Ha visitato i prigionieri tenuti in carcere, che erano generalmente cristiani, guarendo le loro ferite e in breve tempo la sua buona nomea di medico caritatevole si diffuse in tutta la città di Nicomedia facendo si che la gente abbandonasse gli altri medici per rivolgersi a lui.
Nel 305, per invidia, un medico lo denunciò alle autorità romane che lo arrestarono e come era prassi nei processi contro i cristiani, al santo fu chiesto di offrire l'incenso agli dei, ma egli si rifiutò, accettando il martirio, come già aveva fatto il suo maestro Ermolao, che avvenne dopo numerose torture.